Carta,penna E Inchiostro

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Neuromante
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Carta,penna E Inchiostro

Messaggio da Neuromante »

Come consigliato nell'altro topic dalla admin, apro questo topic "scrittevole" :mrblue: .

Una piccola selezione tanto per iniziare, prendo queste tre perché le ho a disposizione sull'hard disk di questo pc e non perché abbiano un qualche valore particolare affettivo e\o qualitativo rispetto alle altre.
Inserisco i testi sotto spoiler così da non allungare troppo il post.

-Questa la scrissi per un concorso letterario: il tema era inventare una fiaba sulle origini di jack o'lantern (la zucca di halloween xD )
Spoiler:
LA VERA STORIA DI JACK O' LANTERN


Il vento faceva rumoreggiare sinistramente le vecchie e malandate imposte dell'orfanotrofio, ma i suoi piccoli ospiti non vi facevano caso e dormivano sonni tranquilli, i rumori notturni erano la norma tra le ammuffite mura del Pilgrim Orphanage.
Il sole aveva dato il bacio della buonanotte all'orizzonte già da un bel pezzo e non vi era anima viva, all'interno delle enormi e polverose camerate, che non fosse assopita già da svariati giri della lancetta corta dell'orologio, nessuna, tranne il piccolo Jack.

Jack O'Lantern era un figlio della verde Irlanda ospite del Pilgrim da quando, due anni or sono, perse la sua famiglia nella traversata in nave che avrebbe dovuto portarli verso una nuova terra da chiamare "patria".
Capelli rossicci come il rame perennemente arruffati, viso emaciato cosparso di numerose lentiggini, occhi tristi ed espressione perennemente imbronciata: non era proprio un bel vedere, portava in volto tutti i segni di quel che una tragedia simile può causare a un bambino di otto anni e non faceva molto per nasconderli.
Non aveva molti amici il nostro Jack, anzi sarebbe meglio dire che non ne aveva nessuno, costantemente chiuso in se stesso e restio a socializzare con gli altri bimbi.
Solo il suo orsetto era riuscito a entrare nel suo mondo ed era l'unico essere che poteva fregiarsi del titolo di suo amico: Jack lo teneva sempre con se, cosa strana per un bambino di otto anni, forse perché era l'ultima sfocata immagine rimastagli di un mondo felice di cui non faceva più parte.
Cyran era l'unica cosa che quei marinai gli trovarono addosso, oltre ai suoi consunti vestiti, quando lo ripescarono dal mare e, da allora, era praticamente impossibile dividerli.
Come Jack, anche Cyran non era un bel vedere: era spelacchiato, logoro e nell'incidente di due anni prima aveva perso un bottone che fungeva da occhio e infine il filo da imbastitura, che ne delineava la bocca, era oramai quasi del tutto scucito.
Dato il valore che sembrava avere per il bimbo, la direttrice aveva spesso proposto agli inservienti di ripararlo, ma proprio non riuscivano a portarlo via a Jack, nemmeno per un solo istante, senza che il ragazzino cadesse in preda a delle crisi isteriche tra le peggiori che avessero mai visto.
Non riusciva a dormire quella sera Jack, e ne aveva ben donde: il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno, l'unico giorno in cui era possibile vedere un sorriso in quel volto perennemente abulico.
La direttrice, gli inservienti e i suoi piccoli compagni gli avrebbero preparato una bella festa come i due anni precedenti e nonostante tutto, questo gli faceva piacere; anche se non socializzava mai con nessuno, in quel giorno Jack era diverso: forse era la torta un po' bislacca ma buona della signora della mensa, forse era il piacere di essere di nuovo una volta tanto al centro dell'attenzione o forse più semplicemente il motivo era che quella piccola chiazza di gioia annuale nel buio totale della sua ancor giovane vita, gli ricordava di giorni felici oramai lontani; si, a Jack quel giorno piaceva davvero.

Le ore passavano e la nebbia fuori dalle finestre rendeva ancor più plumbea la già malsana atmosfera notturna della decadente Pilgrim Street e il nostro ancora non riusciva ad assopirsi, rigirandosi continuamente nelle logore lenzuola tenendo come sempre stretto a se il suo consunto ma fidato amico di pezza.
Tutt'un tratto Jack sentì un bruciore agli occhi e poi solo buio per qualche istante, in cui a rassicurarlo non vi era più nemmeno la fioca luce del lampione a petrolio che, fino a quel momento, timidamente permeava dai sudici vetri della vecchia finestra.
Furono attimi che parvero non avere fine ma dopo un po' Jack riuscì a riaprire gli occhi, quel che vide lo lasciò senza fiato: era di nuovo nella sua verde e natia Irlanda.
Dopo qualche istante però ,passato lo stupore iniziale, uno strano senso di malessere lo pervase e si rese conto che, anche se quella che vedeva era la sua terra natia, non vi era traccia della gioia che vi aveva lasciato: l'atmofera era malsana e anche se tutto era come lo ricordava, vi era un senso di oppressione in quel borgo che un tempo chiamava "casa".
Quel che gli si parò davanti potrebbe essere definito un eco distorto del ridente paesino che aveva lasciato, il cielo era cinereo e l'atmosfera era talmente pesante che quasi la si toccava con mano, le case un tempo armoniche e amichevoli parevano sghembe e corrotte quasi come se un architetto folle e deciso a denigrare la geometria euclidea, avesse voluto dare una sua grottesca interpretazione di quel luogo un tempo ridente.
Ripresosi dallo shock iniziale Jack, stringendo sempre a se il fidato Cyran, si incamminò lungo la via in ciottolato che portava dalla piazza alla sua vecchia casa.
Dopo aver superato la bottega della signora O'Sullivan, o per lo meno quel che ne aveva preso il posto in quella follia, Jack imboccò il vecchio ponticello di di legno e in pochi minuti si trovò di fronte alla vecchia casa.
Stranamente, in tutto quell'orrore, la vecchia casa non era diversa da come la ricordava, sembrava non essere stata intaccata da tutto quel malessere che aveva inspiegabilmente avvolto il suo borgo natio e soprattutto, dal comignolo uscivano rassicuranti spirali di fumo come nei suoi ricordi più dolci.
Jack si diresse verso la graziosa porta d'ingresso e provò ad aprirla ma questa fece resistenza, che sciocco che era stato, sicuramente il papà non l'aveva ancora riparata come si riprometteva di fare da una vita, ci voleva il solito colpetto strategico allo stipite sinistro per sbloccarla e infatti in un attimo ella si aprì.
Non appena il nostro piccolo amico mise piede in casa, un calore familiare lo avvolse: dopo tanto tempo poteva di nuovo sentire quell'atmosfera dolce dei tempi andati sfiorare tutto il suo corpo, era finalmente felice e a casa il nostro Jack.
Superato il salotto si diresse verso le scale che in un battibaleno lo portarono al piano superiore verso le camere.
Meraviglia e incanto! La sua stanza era proprio come l'aveva lasciata in lacrime due anni prima, anzi a dire il vero gli sembrava che le profumate lenzuola fossero state meticolosamente adagiate sul letto proprio pochi minuti prima del suo arrivo.
Ma allora...la mamma e il papà dovevano essere in casa! Chi altri avrebbe potuto farlo altrimenti? Allora non erano morti!
Jack sentì un rumore provenire dal piano inferiore, mamma e papà saranno sicuramente li!
Il bimbo riprese a correre, si lanciò veloce per le scale e in un attimo eccolo avviarsi verso la porta della cucina da cui proveniva uno splendido odore di pudding che prima non aveva notato, sicuramente erano li, ricordava benissimo l'odore del pudding della mamma, era inconfondibile.
Appena varcata la porta li vide, erano li davanti ai fornelli e gli davano le spalle sicuramente presi dalla preparazione del pudding, Jack non disse nemmeno una parola e con le lacrime di gioia che gli rigavano il volto corse verso di loro abbracciando la mamma da dietro quasi a non volerla lasciare più.
L'entusiasmo però, in un momento, si tramutò in terrore quando vide che ella non si muoveva, era rigida e immobile come una statua di sale, Jack rapidamente voltò lo sguardo verso il papà e con sgomento si accorse che anche lui era come pietrificato e che quella staticità era anche più terribile di tutta la follia che aveva assaporato prima di arrivare alla vecchia casa.
Jack non riusciva a capire, piangeva a dirotto, li strattonava, li colpiva con i suoi piccoli pugni, cercava di stringerli a se e poi piangeva di nuovo, non riusciva a capire...non voleva capire.
Dopo qualche minuto in preda a una violenta crisi Jack si accasciò al suolo raggomitolandosi su se stesso e fu li che incrociò lo sguardo con quello di Cyran, che aveva lasciato cadere per terra nella foga alla vista dei suoi genitori.
La bocca sdrucita dell'orsetto di pezza in quel momento prese muoversi e da essa uscirono queste parole:

"Lo spiritello vien giù dal camino\per portar via chi è piccino\cattivo, viscido e brutto\sfuggirgli non può chi tardi va a letto\si perché lui, solo non tocca\chi s'addormenta vicino alla zucca".

Jack da quell'incubo non si svegliò più, non riuscì a festeggiare il compleanno, ne a mangiare la torta sghemba della signora della mensa, lo ritrovarono gli altri bambini della camerata, appena svegliati, immobile nel suo letto privo di vita e con gli occhi sbarrati di chi ha guardato il diavolo in faccia.
Il primo di loro che si avvicinò vide che il suo braccio, oramai rigido, stringeva ancora Cyran e guardando più attentamente si accorse di qualcosa di strano che fuoriusciva dalla bocca scucita dell'orsetto di pezza: era una fotografia spiegazzata che ritraeva Jack sorridente nel suo letto con la mamma premurosa che gli stava rimboccando le coperte e sul comodino vi era una buffa lampada ricavata da una zucca intagliata a mo di viso a cui era stata inserita una candela all'interno.
Il bimbo vide che dietro la foto vi era scritto qualcosa quindi la girò e lesse ad alta voce così che gli altri incuriositi potessero sentire a loro volta:

"Lo spiritello vien giù dal camino\per portar via chi è piccino\cattivo, viscido e brutto\sfuggirgli non può chi tardi va a letto\si perché lui, solo non tocca\chi s'addormenta vicino alla zucca".

Era la filastrocca che la mamma recitava a Jack tutte le sere per far si che andasse a letto senza fare storie, per questo l'orsetto era così importante per Jack: era lo scrigno che custodiva l'ultimo flebile ricordo che lo legava alla sua famiglia perduta, ma tutto questo ovviamente gli altri bimbi lo ignoravano.
L'isteria fu totale: l'aveva ucciso lo spiritello cattivo, se lo era portato via perché non aveva più la zucca a proteggerlo, era ovvio.
Quei bimbi crebbero e a loro volta ebbero dei figli e così via per generazioni, ma nessuno di loro si dimenticò mai di quel bimbo dai capelli rossicci portato via nell'oscurità dallo spiritello cattivo.
Ogni anno quella notte, che porta dal 31 Ottobre al 1 Novembre, essi mettono una zucca intagliata a mo di viso con all'interno una candela nelle loro case cosicché lo spiritello venga scacciato e non possa entrare.

Questa che vi ho narrato è la vera ed unica storia di Jack O' Lantern tramandata fino ai giorni nostri, o meglio...una delle tante.
-Quest'altra invece mi venne in mente qualche anno fa mentre approfondivo la figura storica del giullare, personaggio che IN TEORIA, era l'unico della corte che poteva permettersi addirittura di deridere in alcuni casi il regnante\signore. Anche questa storia non mi ha portato lontano, al massimo è arrivata in qualche forum di aspiranti scrittori XD
Spoiler:
IL GIULLARE ERRANTE


"Salto, canto e ballo per allietar la giornata vostra\il bello e il brutto del mondo col mio narrar metto in mostra\son basso, brutto e gobbo e in altri panni verrei offeso\vestito in tal modo riesco a strappar invece un sorriso\ma non è sol per questo che esercito tal mestiere\quel che più vi adoro è poter schernire anche voi, messere".

Il fato non era stato molto clemente con Jarblin e sin da quando venne al mondo fu oggetto di scherno e di offesa per il suo aspetto esteriore: era basso ai limiti del nanismo, i suoi lineamenti erano talmente sgradevoli da cadere quasi nel grottesco e aveva una prominente gobba sulla schiena.
Nessuno lo aveva mai veramente amato ne aveva accettato il suo aspetto, nemmeno i suoi genitori, tanto che lo abbandonarono in tenera in un fienile.
Nel migliore dei casi la sua presenza era oggetto di compassione da parte della gente comune, nei casi peggiori invece la situazione degenerava verso lo scherno, l'offesa e l'emarginazione più totale.
Eh si, il destino era stato del tutto inclemente con Jarblin, al punto che, come a voler completare tutto il suo sadico piano, imprigionò dentro quel grottesco corpo un intelletto finissimo e una sensibilità fuori dal comune, così, tanto per esser certi che fosse ben conscio della sua diversità e dello sprezzo che gli altri provavano nei suoi confronti.

La volontà di Jarblin però, fortunatamente, era molto più solida della gracile costituzione del suo grottesco corpo ed egli, non dandosi mai per vinto, riuscì infine a capire come sfruttare a suo favore il suo bizzarro aspetto e come capovolgere abilmente i ruoli mettendo in atto la sua personale vendetta.
Un bel giorno lo videro uscire dalla sua baracca vestito di buffi abiti color cremisi pieni di sonagli, con un fagotto sulle spalle e, tutto un tratto, l'espressione solitamente disgustata che i paesani assumevano alla sua vista si tramutò in risate generali quando lo videro posare il fagotto e proferire con un ghigno divertito le seguenti parole:

"Salto, canto e ballo per allietar la giornata vostra\il bello e il brutto del mondo col mio narrar metto in mostra\son basso, brutto e gobbo e in altri panni verrei offeso\vestito in tal modo riesco a strappar invece un sorriso\ma non è sol per questo che esercito tal mestiere\quel che più vi adoro è poter schernire anche voi, messere."

Detto questo, stampandosi sul viso un ghigno ancora più evidente, volse il suo sguardo verso il giovane Wallace. Egli era il classico bulletto del villaggio dal fisico ipertrofico ma dall'intelletto tendente allo zero, che aveva trovato, da vari anni ormai, il suo sollazzo preferito nel malmenare e offendere il povero Jarblin.
Il nostro comincio a ballare scoordinatamente intorno al bullo riempiendo l'aria circostante col tintinnare dei suoi sonagli, cominciò ad affibbiargli definizioni ed aggettivi di cui, dal basso della sua scarsa cultura, Wallace intuiva il possibile significato solo dalle espressioni divertite e dissacranti che gli improvvisati spettatori gli rivolgevano additandolo.
Piccato nell'orgoglio Wallace rispose allo scherno nel solo modo che conosceva: afferrò Jarblin per il colletto della sua buffa veste e fece per dargli un sonoro pugno sul viso, ma una stretta forte e vigorosa fermò il suo braccio prima che potesse sferrare il colpo.
Il gendarme Gordon era li e aveva assistito a tutta la scena divertendosi come gli altri e, alla vista del tentativo di pugno del giovane era intervenuto prontamente: la satira era sacra nell'impero, la legge la tutelava fermamente e le pene, per chi osava reagire con violenza alla provocazione di un giullare o ostacolava le loro espressioni artistiche, erano estremamente aspre.
Così mentre il giovane Wallace veniva portato in gendarmeria, il nostro Jarblin raccoglieva soddisfatto il suo fagotto che aveva momentaneamente abbandonato per dar vita alla prima esibizione della sua carriera da giullare, se lo mise in spalla e si avviò verso la strada del bosco abbandonando il suo villaggio natio.
Gli abitanti del villaggio lo videro allontanarsi lentamente nel suo incedere dinoccolato e allo scemare del tintinnar dei suoi sonagli, non lo videro tornar mai più.

Jarblin avrebbe potuto seguir la via dei suoi colleghi per aver un futuro assicurato: stabilirsi nella dimora di qualche personaggio abbiente e importante e vivere allietando le sue giornate in cambio di moneta sonante, ma la visione di Jarblin era ampia, molto più ampia.
Per prendersi la sua vendetta verso il mondo egli divenne giullare girovago: percorreva in lungo e in largo le strade dell'impero schernendo i prepotenti e altezzosi personaggi che gli capitavano di fronte nel suo peregrinar di villaggio in villaggio, sorretto dalla sua fine parlantina e protetto dalla legge che lo rendeva intoccabile a tutti, anche a chi lo sovrastava fisicamente di varie spanne, riscuotendo fior di denari dai divertiti presenti che assistevano al pubblico sbeffeggiamento altrui.
Jarblin era diventato quasi una leggenda, lo vedevano arrivar da lontano accompagnato dal tintinnio dei suoi sonagli, fare il suo numero al malcapitato di turno, riscuotere il giusto tributo monetario per il suo spettacolo e allontanarsi all'orizzonte finché la sua sagoma scompariva e il suo caratteristico tintinnio scemava nell'aria.
Lo chiamavano il “giullare errante”.

Nel suo peregrinare, dopo qualche anno, Jarblin arrivò nella Capitale e mentre camminava per la via principale che portava al palazzo imperiale, incontrò quello che all'apparenza era un uomo molto facoltoso.
Lo vide, circondato da guardie armate di tutto punto, camminare con un incedere altezzoso e sprezzante per poi fermarsi di fronte a una anziana mendica, l'uomo la guardò con un disgusto che a Jarblin recava molti brutti ricordi e dopo pochi secondi ordinò a una delle guardie di cacciarla a randellate, cosa per cui il gendarme non si fece affatto pregare.
Jarblin era disgustato e non dovette pensarci su per capire di aver individuato la vittima del suo imminente numero, così si avvicinò all'uomo con la sua camminata goffa accompagnata dal solito tintinnio.

"Salto, canto e ballo per allietar la giornata vostra\il bello e il brutto del mondo col mio narrar metto in mostra\son basso, brutto e gobbo e in altri panni verrei offeso\vestito in tal modo riesco a strappar invece un sorriso\ma non è sol per questo che esercito tal mestiere\quel che più vi adoro è poter schernire anche voi, messere".

Jarblin cominciò a saltellare intorno all'uomo e a schernirlo con la sua parlantina, e lo fece con un trasporto e una rabbia tali come non aveva mai avuto, quel fatto successo poco prima lo aveva toccato nel profondo, il torto subito dall'anziana mendica gli aveva ricordato il suo passato e quindi mise tutto se stesso nella sua esibizione.
Questa volta però alla fine dello spettacolo Jarblin si accorse che nessuno dei presenti stava ridendo, anzi, erano tutti impietriti in un'espressione che era misto di paura e stupore, l'uomo invece era scuro in volto e furente in tal misura che sembrava poter esplodere da un momento all'altro.
Jarblin questa volta non trovò moneta tintinnante e risate sul suo cammino, anzi in men che non si dica si ritrovò in catene nella piazza principale con il collo attaccato a un ceppo: l'uomo arrogante che aveva pubblicamente sbeffeggiato era l'Imperatore in persona e Jarblin, dall'alto della sua innocenza, aveva scoperto suo malgrado, che la legge non è affatto uguale per tutti.
Venne accusato pubblicamente delle peggiori falsità: complotto politico, cospirazione e associazione segreta, venne accusato di essere un sovversivo estremamente pericoloso e di minare le fondamenta dell'impero stesso.

Attaccato a quel ceppo e con le braccia in catene Jarblin era in lacrime mentre dal centro della piazza, comodamente seduto su una lettiga dorata, l'imperatore gli chiese se avesse da dire qualcosa a sua discolpa prima del giudizio finale, gli occhi di Jarblin allora smisero di lacrimare e sul suo grottesco volto si venne a stampare un sorriso beffardo dal quale uscirono a gran voce queste parole:

"Salto, canto e ballo per allietar la giornata vostra\il bello e il brutto del mondo col mio narrar metto in mostra\son basso, brutto e gobbo e in altri panni verrei offeso\vestito in tal modo riesco a strappar invece un sorriso\ma non è sol per questo che esercito tal mestiere\quel che più vi adoro è poter schernire anche voi, mio Imperatore".

Un cenno dell'Imperatore e la scure del boia si alzò in cielo per poi ricadere verso il basso in un istante, solo un rumore ruppe quel silenzio: era il tintinnio dei sonagli del cappello di Jarblin, che rotolava sul terreno ancora attaccato alla testa mozzata, fermandosi quasi ironicamente con lo sguardo rivolto verso l'altezzoso regnante.

Sul suo viso vi era ancora stampato quel sorriso beffardo.
-Qui abbandoniamo la fiaba invece ed ci addentriamo nella fantascienza: questa è la prima storia di una raccolta di racconti sci-fi che sto portando avanti da un po' di tempo. Qui ovviamente il linguaggio e le atmosfere assumono toni più "adulti" (termine quantomai inesatto nel contesto della scrittura, ma vabbè)
Spoiler:
OPPIO E ASSENZIO

Absinthe@Opium:~$ shutdown -h now

Rimosse dalle tempie sudate i connettori neurali di Opium, il suo terminale IBM e si adagiò sullo schienale dell'ormai consunto divano iniziando a sorseggiare la sua Bud...al solito troppo calda.
Virgil Preston di giorno, 31 anni, uomo qualunque, lavoro qualunque, vita ordinaria...
Absinthe di notte, pirata informatico, una celebrità nel campo, capace di violare qualsiasi firewall e di abbordare ogni tipo di database, un tempo almeno...
Absinthe...assenzio, strano nome per un bucaniere da terminale, una piccola concessione sentimentale: era uno dei pochi ricordi della sua infanzia non andati perduti nella rimozione parziale del lobo temporale mediale, per far spazio al silicio nella sua scatola cranica: suo padre al ritorno dal lavoro amava dilettarsi nella lettura di quel poeta francese di quasi due secoli fa, di cui Virgil tuttora non ricordava mai il nome, che visse facendo uso smodato di oppio e assenzio.
Anche se non era nulla di particolare, almeno era un ricordo...Absinthe e Opium, gli parve una buona idea.
Posò la birra sul tavolino rivestito di pvc che era accanto al divano. Estrasse una Incorporated dal pacchetto, la girò due o tre volte tra pollice ed indice e la accese. Gli faceva schifo, letteralmente, ma le Inc erano le uniche sigarette disponibili a buon mercato nella Suburbia, diamine lui mica era un bogat del Piano di Sopra che si poteva permettere una Gauloises o addirittura una Dunhill. Un tempo forse, quando era il c-buccaneer più richiesto della Suburbia, ma ora non più: erano due anni oramai che non abbordava, si limitava a vagare per il Virtua tra bordelli sensoriali e qualche penoso lavoretto da topo della rete nel creditometro di qualcuno quasi più al verde di lui ... Come era caduto in basso.
Le incursioni in cui trafugare dati da milioni di crediti da vendere al miglior offerente(mai ad una multinazionale però, solo mercato nero, era la regola), i gloriosi abbordaggi anarchici ai database delle corporazioni...solo ricordi, da quella maledetta notte in cui svuotarono Misha, il suo fidato Gespenst.

Erano stati ingaggiati per bucare il database della Silicontech, uno dei leader mondiali nella costruzione di circuiti integrati e trafugare alcuni progetti riguardanti un prototipo di processore quantico.
Il cliente volle rimanere anonimo, non una rarità nel loro tipo di servizio, ma dall'accento che aveva all'olophono (anche se l'ologramma era ovviamente occultato) il loro interlocutore doveva essere un asiatico. Comunque pagava bene, molto bene e la metà dei crediti era stata già versata sul loro creditometro, tanto bastava per non porsi troppe domande inutili.
Il lavoro doveva essere, come al solito: rapido, preciso, pulito e con il minor rischio possibile, Misha sarebbe entrato per primo, avrebbe attirato su di se l'attenzione degli spy e avrebbe permesso a Virgil di abbordare il database affrontando solo il più vulnerabile secondo livello di firewall.
La procedura era standard oramai, sapevano entrambi che Misha era in grado senza problemi di tirarsi dietro gli spy per 7 minuti e 53 secondi prima che il velo di dati casuali con cui si ammantava cessasse di dissimularlo rendendolo del tutto visibile e vulnerabile agli attacchi degli spy.
Sette minuti e cinquantatre secondi, non molto, ma a Virgil bastava molto meno per abbordare qualsiasi database quindi tutto era filato sempre liscio.
“Allora io entro”
disse Misha collegando il connettore neurale alla tempia
“i soliti cinquanta-cinquantacinque secondi e te li tolgo di mezzo, tu entri, abbordi e torniamo qui ad incassare il resto dei crediti e poi finalmente saliamo su quel fottuto ascensore per il piano di sopra fratello!”
“organo sessuale maschile, con questo lavoro ci mettiamo a posto per un bel po'!” rispose Virgil ”Non vedo l'ora di provare una scaglia del piano di sopra, ne ho i coglioni pieni della cacca che compriamo qui”
“ma non è possibile fratello, organo sessuale maschile finalmente andiamo al piano di sopra e tu non pensi ad altro che a trovare della fottuta droga? Sei un tossico di cacca, lasciatelo dire”
replicò Misha, estraendo dalla tasca dei pantaloni di cuoio nero levigato un pacchetto di scaglie con un sorriso sarcastico stampato in volto. Scoppiarono a ridere entrambi, facevano spesso questi scambi di battute idiote prima di ogni abbordaggio, li aiutava a scaricare la tensione.
Misha accese il suo terminale Hawlett-Packard ed entrò nel Virtua, pochi secondi dopo Virgil poteva vederlo, dallo schermo di supporto, avvicinarsi furtivo al database della Silicontech. Nel frattempo anche lui si era preparato, aveva inserito il connettore neurale ed era pronto ad accendere il terminale per entrare in azione.
Un istante dopo aver attirato l'attenzione degli spy, vide Misha lanciare il comando urandom e coprirsi di dati casuali. Vide il suo amico smaterializzarsi e divenire un vortice di puro codice in movimento che danzava come foglie morte portate dal vento trascinandosi dietro i firewall oramai persi nelle più totale confusione. Abbozzò un sorriso soddisfatto. Lo divertiva sempre quell'immagine.
Era il momento per lui di entrare in scena, accese Opium ed avviò il modem che intonando la sua cacofonica sinfonia di impulsi iniziò la procedura di connessione.
Respirava ritmicamente, abbandonandosi alla solida inconsistenza della rete come una goccia d'acqua caduta dal cielo che muore nell'oceano divenendone parte. E poi il nulla incolore, squarciato dal fuoco solido e fluorescente del wireframe che prende vita e dal codice binario che scorre, fluido, come scintillante mercurio liquefatto tutt'intorno a lui mutando in glifi d'un colore più chiaro del bianco e più scuro del nero allo stesso tempo. Lo stridio del modem in connessione andò pian piano scemando:

01100001 01100010 01110011 01101001 01101110 01110100 01101000 01100101 00100000 01101001 01101110 00100000 01101111 01101110 01101100 01101001 01101110 01100101

ABSINTHE IS ONLINE

L'ingresso del database della Silicontech era libero, Misha come sempre aveva fatto un ottimo lavoro, controllò il timer, gli restavano 6 minuti e 13 secondi per completare il lavoro...un'eternità.
Pochi istanti di decodificazione ed era all'interno del database della corporazione, non rimaneva altro che rendere inoffensivi i firewall del secondo livello, trovare i dati negli archivi ed andarsene, gli restavano più di cinque minuti, era ben dentro il tempo limite.
Si nascose dietro una directory contenente file temporanei e con la coda dell'occhio individuò i due firewall che efficienti stavano proseguendo il loro perpetuo giro di perlustrazione.

Absinthe@Opium:~$ su
password:**********
Root@Opium:~$cd /Absinthe/Picklocks
Root@Opium /Absinthe/Picklocks:~$ mv Flying_Dutchman /Silicontech/Security/2nd_firewall/Sys

Flying Dutchman, l'olandese volante...non poté trattenere un leggero sorriso: usava sempre dare questi nomi da nave pirata ai suoi virus, lo divertivano alquanto questi parallelismi con gli antichi bucanieri.
Il virus non ci mise molto a distruggere i file di sistema dei firewall e Virgil provò un certo moto di soddisfazione vedendoli trasformarsi in dei confusi vortici di byte casuali. Era il momento di cercare i dati che gli erano stati commissionati, gli restavano ben quattro minuti, era nei tempi stimati.
Comincio rovistare tra la moltitudine di directory aprendole e analizzandone velocemente il contenuto e, dopo qualche istante di ricerca, ecco la subdirectory che cercava:

Quantic_Dream

I dati contenuti erano ben più pesanti di quanto pensava: quasi 40 terabyte, ma non era un problema: negli ultimi mesi aveva accuratamente potenziato la velocità di download del suo impianto cranico proprio per sopperire a situazioni come queste...nel suo lavoro la rapidità era essenziale.

Root@Opium :~$cd /Silicontech/Projects/
Root@Opium :~/Silicontech/Projects$ mv Quantic_Dream /Absinthe/Treasures

Download in progress
8%
Time remaning 2'13”

Aveva ancora tre minuti abbondanti prima che Misha fosse privo del suo manto di dati casuali e vulnerabile agli spy, tutto andava come previsto.
Si sedette vicino alla subdirectory che stava copiando, doveva rilassarsi completamente per non sprecare alcuna risorsa di sistema, aveva bisogno della massima capacità di download possibile per farcela, una singola distrazione, un solo pensiero poteva rallentare il processo di scaricamento dati e mandare a puttane il tutto.

Download in progress
52%
Time remaning 1'08”
-
-
-
WARNING
Download Aborted
--%
Intruder detected
WARNING
Launch K.R.A.K.E.N

Un urlo lancinante gli sembrò far tremare tutto il Virtua, la voce di Misha, (o meglio la sua controparte virtuale che aveva modellato sul timbro di Munky quel comico satirico-anarchico degli olofilm clandestini che gli piaceva tanto).
“Kraken? Cosa organo sessuale maschile è?” pensò Virgil “Un nuovo sistema difensivo?”
Non ne aveva mai sentito parlare e comunque avevano eseguito scrupolosi controlli, lui e Misha, prima dell'abbordaggio, avevano pianificato accuratamente la situazione, non ci doveva essere alcun ulteriore sistema difensivo.
Virgil era appena saltato in piedi quando lo vide entrare nel database: era enorme, tutto in wireframe tanto che al suo interno poteva vedere i brandelli dell'alter ego virtuale di Misha. Somigliava a una piovra o ad un altro di quegli animali marini con tanti arti estinti il secolo scorso di cui aveva visto qualche immagine negli olofilm storici.
Dopo un istante capì il nesso.
Kraken...si ricordò di quel vecchio olofilm ambientato nell'epoca degli antichi bucanieri, si ricordò di quella scena, sull'isola di Tortuga, in cui il vecchio Bill lo storpio spaventava i giovani mozzi con una leggenda riguardante un enorme mostro marino che con i suoi tentacoli era in grado di sbriciolare le navi pirata e tirarle a fondo.
A quanto pare non era il solo a cui piacevano i parallelismi con le vecchie storie di bucanieri...

Root@Opium:~$ shutdown -h now

Fece appena in tempo a sconnettersi dal Virtua prima che quel mostro eseguisse lo scan e lo agganciasse. Appena aprì gli occhi sconnesse rapidamente il connettore neurale di Opium dalla tempia e corse verso Misha che pareva privo di sensi.
Appena mise a fuoco il campo visivo ancora intorpidito dalla rapida disconnessione dalla rete si accorse che Misha non era affatto privo di sensi: vide con orrore il fluido denso e maleodorante che gocciolava sul pavimento fuoriuscendo dagli orifizi nasali e uditivi di Misha nonché dalla presa per il connettore neurale sulla tempia, dopo che Virgil ebbe rimosso quest'ultimo nel tentativo di rianimarlo...non era sangue ne alcun altro tipo di liquido che egli aveva mai visto: era il cervello del suo amico, disciolto sul pavimento.
Le voci che giravano nei covi dei bucanieri erano vere allora: questi nuovi sistemi difensivi non uccidevano semplicemente, come in passato, secondo il principio che ogni danno subito nel Virtua il cervello lo trasferiva nel corpo reale, essi invece ti svuotavano rendendoti un guscio senza vita, senza anima, risucchiavano tutti i dati e ti gettavano come un hard disk rotto.
Non ci avevano mai creduto, avevano sempre pensato che fossero stupide leggende della Suburbia, storielle raccontate da vecchi bucanieri strafatti di scaglie che per giustificare il fatto di non essere più in grado di abbordare inventavano scuse ridicole.
Cazzate si dicevano, non ci avevano mai creduto.
Mikhail “Misha” Solkov venticinque anni, ora il suo cervello era sciolto sul pavimento e la sua mente era sparsa per il database della Silicontech, trasformata in dati, irrecuperabile, dispersa.
Virgil “Absinthe” Preston ventinove anni era li, vicino alla sedia del terminale Hawlett-Packard del suo amico, chino su quel guscio oramai vuoto.
Erano passati due anni da quella notte, l'Assenzio non aveva più abbordato.
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Electranovembre
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Re: Carta,penna E Inchiostro

Messaggio da Electranovembre »

Per ora ho letto solo il primo racconto dato che ci vuole un po' di tempo e concentrazione... e lo trovo davvero magnifico... ben scritto, dettagliato e descrittivo... ricco di emozioni e anche commuovente... quindi non mi rimane che farti i miei complimenti :mrviolet:
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